AUTORE:
GIORGIO MARINO
TESTO:
Don Milani in "Lettera a una professoressa" scriveva: «L’ abbiamo
visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile.
Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si
perde loro, la scuola non è più scuola. è un ospedale che respinge i malati e cura solo i sani». Le poche righe che seguono, piene di amarezza e rabbia, sono invece la mia personale lettera a una delle tante professoresse incontrate in questi anni. Una professoressa a cui dico che ho deciso di ritirare mio figlio di 15 anni, disabile, dalla scuola in cui lei insegna. La frase da lei pronunciata, «I ragazzi come suo figlio devono stare in centri specializzati e non nella scuola…», al momento mi aveva procurato molto dolore. Riflettendo, professoressa, devo darle perfettamente ragione: i disabili come mio figlio non devono stare nella scuola italiana. Almeno fino a quando ci saranno insegnanti come lei. Lei interpreta alla grande il ruolo di educatrice: con i suoi commenti ad alta voce, la sua visibile intolleranza e il suo scarso adattamento conferma l’ idea che prende corpo in molte famiglie di disabili. Se questi sono gli insegnanti che la scuola italiana ci propone, o ci propina, allora meglio le scuole speciali. Dico che lei è grande educatrice perché ha insegnato a mio figlio che al mondo esistono persone cattive, persone infastidite perché devono occuparsi di altri ragazzi e non possono fare lezione, e mio figlio dovrà imparare a fare i conti con questo malanimo e questa rabbia che lo accompagneranno per tutta la vita. Come genitore soffro alla sola idea che quando non ci saremo più né io né mia moglie, mio figlio si troverà a sopravvivere in una società popolata da persone simili a lei. Come comprendo quel padre, graziato dal nostro presidente della Repubblica, che a un certo punto ha deciso di uccidere il figlio disabile perché sentiva di diventare anziano. Perdoni l’ estrema sincerità e crudezza di queste righe. Non ho molte altre cose da dirle se non questa: nell’ eventualità dovesse incontrare me, mia moglie e mio figlio in strada, abbia la decenza di abbassare lo sguardo, perché lei non è persona degna di guardare negli occhi un disabile e i suoi genitori.
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